"Questa maledetta scimmia ama tanto la terra che non si riesce a staccarla dal suolo. È piccoletta di statura, ma quanto è pesante!" commentavano gli immortali. Finalmente in venti riuscirono a portarlo ansimanti fino al calderone e ce lo buttarono dentro: fece un grande schizzo, che spruzzò olio bollente sulle facce dei giovanotti e le riempì di vesciche.
Quelli che curavano il fuoco incominciarono a gridare: "Perde, perde, perde!"
Il fondo della marmitta si era spezzato, e tutto l'olio si sparse intorno. Il fatto è che ci avevano buttato di peso il leone di pietra.
"Ignobile scimmia!" gridò il grande immortale sconvolto dalla collera. "Com'è privo di riguardi! Scappa se vuoi, ma perché mi spacchi la caldaia? Adesso lo metto io nelle peste. Questa scimmia è inafferrabile, tanto varrebbe pretendere di trattenere la sabbia, stringere fra le dita il mercurio, afferrare l'ombra o ingabbiare il vento. Basta così. Se ne vada dove gli pare. Ma ora portate qui un'altra caldaia: per vendicare l'albero di ginseng, metteremo a friggere Tripitaka."
I giovani immortali si misero all'opera per rompere la tela laccata e tirarlo fuori.
Scimmiotto, per aria, sentiva tutto e si diceva: "Il maestro non sarà all'altezza della situazione: come toccherà l'olio bollente, cadrà morto stecchito; alla seconda passata avremo bonzo fritto da mettere in tavola, e alla terza bonzo carbonizzato. Sarà meglio che gli dia una mano."
Che bravo Scimmiotto! Scese giù e si presentò a mani giunte: "Non friggete il mio maestro! Ci vado io nella pentola dell'olio."
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