A sbirciarla negli angolini più interessanti il bestione si sentiva venire l'acquolina in bocca, il cuore gli batteva come un cerbiatto impazzito, sentiva le gambe molli e i muscoli rigidi, fondeva come neve al fuoco.
La regina si fece avanti, tirò Tripitaka per la manica e gli sussurrò: "Gentile fratello, sali con me in carrozza e andiamo a unirci nella Sala delle Campanelle d'Oro."
Il reverendo tremava così forte da reggersi a stento; sembrava istupidito o ubriaco fradicio.
"Su, maestro" gli sibilava Scimmiotto, "non fate tanto il sostenuto, montate in carrozza con lei. Affrettate il visto del passaporto perché possiamo proseguire."
Il reverendo era incapace di rispondere, brancolava e non riuscì a trattenere le lacrime. "Non inquietatevi, maestro! Non tiratevi indietro al momento di godere gli onori e le ricchezze che vi toccano."
Tripitaka non aveva scelta. Asciugò le lacrime, cercò di darsi un contegno e seguì la regina a passetti forzati.
La mano nella mano, presero posto nella vettura reale. La regina, piena di gioia, con il pensiero rivolto a unione e matrimonio; il reverendo, pieno di inquietudine, ha in testa soltanto il Buddha. L'una pensava solo a folleggiare alla luce delle candele fiorite della stanza nuziale; l'altro non aspirava che al Monte degli Avvoltoi. Lei era sincera, lui fingeva. Lei sperava di vivere e invecchiare con lui in armonia condivisa; lui restava deciso a perfezionare solo sé stesso. Lei si rallegrava di quell'uomo che desiderava abbracciare; lui temeva ogni specie di bellezza femminile, non vedeva l'ora di fuggire dalla trappola e di riprendere il suo cammino. Mentre salivano sulla carrozza, chi avrebbe detto che il cuore del monaco cinese fosse tanto lontano?
|