Continuarono queste schermaglie fino a notte avanzata, ma Tripitaka non dava segno di cedere. Per quanto l'orchessa tirasse e spingesse con ogni impegno, non c'era verso di smuovere il reverendo dal suo rifiuto. A mezzanotte lei perse la pazienza e gridò: "Ragazze, portatemi le corde."
Lo legò come un salame e lo fece appendere sotto la tettoia. Poi si spensero le luci, ciascuno si coricò e il resto della notte trascorse tranquillo.
Il gallo aveva già cantato tre volte, ma nella grotta non lo avevano sentito. Fuori sulla montagna, Scimmiotto si stirò dicendo: "La testa mi ha fatto male per un pezzo, ma ora è rimasto soltanto un po' di prurito."
"Per far passare il prurito servirebbe un'altra puntura. Che ne dici?" sogghignò Porcellino.
"Sei il solito maligno codardo" brontolò Scimmiotto sputando.
"Codardo?" rise Porcellino. "Sarà il maestro che si sarà rotto la coda."
"Basta con i litigi" esortò Sabbioso. "È giorno: non perdiamo tempo e andiamo a catturare la creatura malefica."
"Resta dove sei, fratello" disse Scimmiotto, "e occupati del cavallo. Andremo noi."
Il bestione raccolse le energie, si strinse alla vita la tunica di cotone nero e seguì il Novizio. Con le armi in pugno balzarono sulla rupe e giunsero in breve davanti allo schermo di pietra.
"Aspettami qui" disse Scimmiotto. "L'orchessa questa notte avrà teso le sue insidie al maestro, e sarà bene che ci informiamo dell'esito. Se ha vinto, lui ha perduto il suo yang primordiale e la sua virtù è distrutta: in questo caso sarebbe inutile continuare il viaggio. Se invece lui ha respinto l'attacco, bisognerà che continui a resistere finché riusciremo ad ammazzare l'essere malefico."
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