Dopo aver spazzato un piano, Tripitaka saliva a quello superiore. Alla seconda veglia, quando giunse al settimo, incominciò a sentirsi stanco.
"Sedetevi un momento" gli disse Scimmiotto; "non ne potete più. Continuerò io."
"Quanti piani ha la pagoda?"
"Mi pare che siano tredici."
"Per adempiere il mio voto, li devo spazzare tutti" rispose Tripitaka, sforzandosi di dominare la stanchezza. Dopo altri tre piani, quando giunse al decimo, gambe e schiena gli dolevano tanto che lo fecero crollare: "Consapevole del Vuoto, spazza per me i piani che restano."
Scimmiotto si mise all'opera con grande rapidità. Quando fu al dodicesimo piano, udì qualcuno che conversava sul tetto.
"Che strano!" pensò. "Già non è un posto per far conversazione; e poi, a quest'ora di notte! Saranno certo creature malefiche: vediamo un po'."
Il re scimmia, senza far rumore, si infilò la scopa sotto il braccio, rialzò le falde della tonaca e scivolò fuori dall'uscio. Montato su una nuvola salì a vedere di che cosa si trattasse, e vide due mostri seduti al tredicesimo piano, che giocavano alla morra davanti a piatto, caraffa e bicchiere.
Scimmiotto tornò indietro, appoggiò la scopa e brandì la sua sbarra cerchiata d'oro. Poi si fece sull'uscio del tredicesimo piano gridando: "E bravi mostri! Dunque siete voi i ladri del tesoro!"
Le due creature, spaventate, balzarono in piedi e si provarono a bersagliare Scimmiotto con le loro stoviglie e a fuggir via. Ma lui bloccava il passaggio con la sua sbarra messa di traverso, e li strinse contro la parete. "Non tremate tanto!" diceva. "Non vi voglio ammazzare, perché mi dovete raccontare tutta la storia." "Pietà!" supplicavano loro. "Risparmiateci, noi non c'entriamo; il ladro non è qui."
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