"Portate dei ferri" ordinò Scimmiotto. "Forategli una scapola e incatenateli qui. Mentre dormiamo, dovrete fargli la guardia. Domani decideremo sul da farsi."
La guardia fu accuratissima.
All'alba, quando i pellegrini si svegliarono dal sonno, Tripitaka dichiarò: "Vado a corte con Consapevole del Vuoto, per presentare il passaporto." Si mise in abito da cerimonia, con il kasâya dai bordi di broccato e il cappello alla Vairocana, e si avviò accompagnato da Scimmiotto, che portava i documenti.
"Perché non porti con te anche questi due mostri ladroni?" domandò Porcellino.
"Vedrai che il re li farà convocare, quando gli avremo fatto rapporto."
Camminando verso il palazzo, videro una quantità di fenici rosse e di draghi gialli dipinti sugli archi vermigli della grande capitale. Tripitaka si presentò alla porta Splendore dell'Est e salutò l'alto ufficiale di servizio: "Posso importunare vostra grandezza, pregandola di voler annunciare un umile monaco, inviato dai grandi Tang delle terre dell'Est in cerca delle scritture nel Paradiso dell'Ovest? La speranza sarebbe di essere ricevuto in udienza per presentare il passaporto."
L'ufficiale si recò a rapporto ai piedi del trono: "Ci sono fuori due monaci di strano aspetto, vestiti in modo inconsueto, che si dicono incaricati dai Tang di cercare le scritture. Vorrebbero presentarsi a vostra maestà per mostrare il loro passaporto."
Il re ordinò di introdurli. A vedere Scimmiotto, che seguiva il reverendo, non ci fu uno degli ufficiali civili e militari che non trasalisse di spavento. Chi diceva che doveva essere una scimmia, chi affermava che aveva una faccia da duca del tuono. Ma erano tanto spauriti che non osavano fissarlo. Mentre il reverendo eseguiva il balletto delle riverenze che si usano davanti ai troni, il grande santo se ne stava dritto e impassibile, a braccia conserte.
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