Scimmiotto e Porcellino lo osservavano dalla riva:
In capo l'elmo di argento scintillante, candido come neve; corazza doumou lustra come brina autunnale. Sopravveste di broccato a nuvole multicolori, stretta alla vita da una cintura ornata di corni di rinoceronte. Ha proprio l'aspetto di un pitone racchiuso in una crisalide d'oro. La mezzaluna nella sua mano riflette lampi di luce. I suoi stivali di cinghiale fendono i flutti.
Man mano che si avvicina ci si rende conto che la sua testa ha occhi da tutte le parti: essa guarda nelle otto direzioni. E possiede nove bocche: il grido che mandano all'unisono fa vibrare il cielo e monta, come volo di gru, sino alla nona sfera.
Non udendo risposta, ripeté: "Chi è il Grande Santo Uguale al Cielo?"
"Sono io" rispose Scimmiotto brandendo la sbarra di ferro.
"Da dove vieni? Come ti permetti di entrare nel paese di Jisai e atteggiarti a protettore di conventi, catturare i nostri capitani e spingere l'impudenza fino a sfidarmi sulla nostra montagna sacra?"
"Vuoi dire, banditello, che non conosci monsignor Scimmiotto? Vieni qui e apri bene le orecchie:
Fu patria di Scimmiotto la montagna
Di Fiori e Frutti. Divenne immortale
Ed il rango raggiunse di gran santo.
Quando turbò i territori del Cielo
Non bastarono a vincerlo gli dèi:
Dovettero invocare la potenza
E l'infinita sapienza del Buddha.
Sfidai anche lui, ma allora le sue mani
Divennero montagne e mi schiacciarono.
Fui prigioniero cinquecento anni
E liberato infine da Guanyin,
Perché di Tripitaka proteggessi
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