Le due creature furono gettate in acqua, legate com'erano; sul dolore delle mutilazioni prevaleva la gioia di ritornare a casa. "Perché siete tutti legati?" chiedevano tartarughe e granchi, allarmati. L'uno nascondeva l'orecchio mozzo, scuoteva la testa e agitava la coda; l'altro si copriva la bocca con la mano, saltellava e si batteva il petto. Corsero dentro il palazzo del drago, seguiti da un codazzo di creature acquatiche, e annunciarono: "Maestà, disgrazia!"
Il re, che stava bevendo in compagnia del genero Nove Teste, posò il bicchiere e chiese di che cosa si trattasse.
"La notte scorsa, mentre eravamo di pattuglia, siamo stati catturati da Scimmiotto e dal monaco cinese. Stamane ci hanno trascinato all'udienza del re del paese, e ci hanno tagliato un orecchio e un labbro. Ci mandano a dire che vogliono in restituzione il tesoro della pagoda."
Il vecchio drago, a sentire che aveva da vedersela con il grande santo, fu preso dal panico. Si mise a tremare come una foglia e disse al genero: "Con chiunque altro si potrebbe studiare un piano per sbarazzarcene, ma con quello lì le cose si mettono male."
"Caro suocero, non temete" rispose il genero sorridendo. "Pratico le arti marziali fin da piccolo, e posso dire che ho imparato qualcosa. Fra i quattro mari, ho combattuto con fior di campioni: non sarà certo quel tizio a farmi paura. Voi aspettate qui, mentre lo vado a trovare: vedrete che, in capo a tre scontri, dovrà ripartire a coda bassa e non oserà più alzare gli occhi."
Il bravo mostro si armò di tutto punto e impugnò la sua arma preferita: uno spiedo con il manico coronato da una mezzaluna. Poi uscì dal palazzo a lunghi passi, salì alla superficie del lago e gridò: "Dov'è questo grande santo? Venga qui ad arrendersi!"
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