"Siamo tutti autentici, comandante" risposero in coro.
"Può darsi di sì, e può darsi di no. Se siete tutti autentici, saprete tutti di che cosa sono capaci i nostri grandi re."
"Certo che lo sappiamo!" gridò una voce.
"Visto che lo sai, dillo. Chi risponde giusto è autentico. Ma il minimo errore rivelerà l'infiltrato, e io lo porterò davanti ai nostri capi perché decidano la sua sorte."
A vederlo troneggiare e comandare con tanta autorità, i mostri ne furono soggiogati e non potevano che ubbidire. Uno disse: "Immensi sono i poteri dei nostri grandi re, sconfinate le loro capacità: di centomila soldati celesti farebbero un solo boccone."
"Palle!" urlò Scimmiotto.
"Comandante, io però sono autentico" balbettò il mostro. "Perché non dovrei esserlo?"
"E allora perché parli a vanvera? Come può un tizio, per grosso che sia, mandar giù centomila soldati celesti?"
"Ma non sapete che i nostri re possono farsi alti da toccare i palazzi del Cielo, o diventare più piccoli di un seme di cavolo? L'anno che la Regina Madre d'Occidente dimenticò di invitare il primo grande re alla festa delle pesche di immortalità, lui se la prese con il Cielo. L'Imperatore di Giada mandò appunto centomila soldati celesti per ricondurlo alla ragione; ma il grande re spalancò davanti a loro una bocca grande come una città, e quelli ne furono terrorizzati al punto che si barricarono dietro il portale est del Cielo. Si può ben dire che di centomila soldati celesti farebbe un solo boccone."
Scimmiotto sogghignò dentro di sé: "Son cose che so fare anch'io." E domandò: "Il secondo grande re che cosa sa fare?"
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