Wu Cheng'en
VIAGGIO IN OCCIDENTE


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     "Io ho abbandonato la mia famiglia e non possiedo altro che me stesso. Può dirmi vostra maestà quale ingrediente occorre?"
     "Servirebbe il vostro cuore."
     "Quale cuore? Vostra maestà deve sapere che ne possiedo parecchi."
     Il suocero di stato gli puntò contro il dito adunco e gridò: "Quello nero, bonzo!"
     "Prestatemi un coltello per aprirmi il torace: sono rispettosamente ai vostri ordini e sarò lieto di accontentarvi, se possiedo quello che desiderate."
     Il sovrano ringraziò calorosamente e fece portare un coltellaccio con la lama a orecchio di toro. Il falso Tripitaka lo impugnò, si aprì la veste, gonfiò il petto e lo tagliò da cima a fondo con mano sicura, producendo un sinistro stridio. Dal petto squarciato uscì ribollendo un gran mucchio di cuori.

     I mandarini civili erano bianchi di terrore, quelli militari paralizzati dallo spavento.
     "Ecco un bonzo ambiguo, dai molti cuori!" gridò il suocero di stato seduto sul suo cuscino.
     Il falso Tripitaka afferrò i cuori grondanti di sangue a uno a uno, per farli vedere. Ce n'erano di ogni specie: rosso, bianco, giallino, avaro, ambizioso, geloso, cauto, calcolatore, superbo, sprezzante, omicida, vizioso, pauroso, prudente, temerario, oscuro e senza nome; cuori malvagi e altri di tutti i generi. Ma non c'era nessun cuor nero.
     Il re era annichilito e non riusciva ad articolare parola. Infine balbettò: "Metti via quella roba, per piacere."
     Il falso Tripitaka si richiuse tranquillamente il petto e riprese la propria forma: "Gli occhi di vostra maestà non sanno discernere le cose!" esclamò. "Tutti i monaci condividono un unico cuore perfettamente buono. Il cuor nero lo possiede vostro suocero: è quello l'ingrediente che vi occorre. Se non mi credete, ve lo farò vedere."


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