"Ecco dunque come stanno le cose."
Accanto all'entrata Tripitaka lesse una scritta in cinque grandi caratteri:
MONASTERO DELLA FORESTA DI MEDITAZIONE, PACIFICATORE DEI MARI
Quando si decise a superare la soglia, gli venne incontro un bonzo. Che aspetto aveva?
Tonaca di lana di Fala, berretto di velluto e broccato con il fermaglio a sinistra, anelli di bronzo alle orecchie. Gli occhi brillano come l'argento. Agita un tamburello e recita sutra in una incomprensibile lingua barbara. Tripitaka non sapeva che si trattava di un lama.
Il lama contemplava Tripitaka; osservava il suo bell'aspetto, la larga fronte, il cranio piatto, le orecchie che giungevano alle spalle, le mani che scendevano oltre le ginocchia, la sua eleganza di arhat disceso sulla terra. Gli piacque molto, e perciò gli andò incontro con un sorriso da un'orecchia all'altra e lo festeggiò a modo suo, stringendogli le mani e i piedi, strofinandogli il naso, pizzicandogli le orecchie. Lo portò nella sua cella e gli chiese: "Da dove venite, reverendo?"
"Il vostro discepolo è inviato in missione speciale dall'imperatore dei Tang delle terre dell'Est, per sollecitare le scritture dal Buddha del Monastero del Colpo di Tuono, in India. Passavamo appunto dal vostro prezioso convento mentre scende la sera: permettetemi di chiedervi riparo per la notte. Partiremo domattina di buon'ora. Spero che potrete darci ospitalità."
"Non diciamo bestemmie!" esclamò il lama ridendo. "Naturalmente, se abbiamo lasciato le nostre famiglie, è perché siamo nati sotto cattiva stella: i genitori non potevano mantenerci e noi ci arrangiamo come possiamo. Ma questo non ci autorizza a mentire."
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