"Non mi pare di star molto meglio. Ho la gola secca: potete darmi un po' d'acqua?" chiese Tripitaka.
"Bene!" affermò Scimmiotto. "La sete è un segno di miglioramento. Cerco subito l'acqua."
Afferrò la ciotola delle elemosine e corse in cucina. Si guardò intorno, e notò che tutti i monaci presenti avevano gli occhi rossi e trattenevano a stento il pianto.
"Come siete meschini!" li apostrofò Scimmiotto. "D'accordo, ci siamo fermati più del previsto; ma prima di partire faremo i conti e vi pagheremo fino all'ultima sapeca. Vi sembra il caso di ostentare tanto il fastidio che vi diamo? Non è un comportamento da veri sacchi di merda?"
"Ma noi non ci permetteremmo mai!" esclamarono i monaci gettandosi in ginocchio.
"Non state forse frignando per i vuoti che ha provocato nella vostra dispensa il mio condiscepolo con il grugno lungo?"
"Potete restar qui mesi interi: non guarderemo certo nel vostro piatto. La nostra disgrazia è un'altra. Ogni notte due giovani bonzi sono addetti a suonare la campana e battere il tamburo: quelli delle ultime tre notti sono scomparsi. Ne abbiamo trovato solo un mucchietto di ossa nel giardino posteriore, accanto ai loro berretti e ai sandali. Non volevamo parlarvene per non affliggervi, perché sappiamo che il vostro maestro è indisposto; ma non possiamo trattenerci dal piangerli."
Scimmiotto fu insieme allarmato e contento di sentirsi chiamato in causa: "Non dite altro: è chiaro che avete in casa una creatura perversa. Penserò io a levarla di torno. La prossima notte farò il turno da solo."
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