La terra del Buddha era ormai prossima, ed era diversa dalle altre: si vedevano solo fiori preziosi, erba di diaspro, pini antichi, cipressi millenari. Sulla loro strada non incontravano famiglia che non fosse volta al bene, né casa che rifiutasse di nutrir monaci. Ogni viandante sulla strada che correva ai piedi delle montagne praticava la pietà; ogni viaggiatore che attraversava la foresta recitava sutra.
Maestro e discepoli camminavano da sei o sette giorni, con brevi riposi notturni e partenze allo spuntar dell'alba, quando scorsero file di alte torri e di superbi padiglioni.
Si slanciano di cento piedi verso il cielo, toccano la Via Lattea. Dalla loro cima bisogna abbassare il capo per vedere il sole al tramonto; si potrebbe cogliere una cometa tendendo la mano. Ampie finestre si spalancano sullo spazio, snelle colonne toccano le nubi.
Gialle gru recano l'annuncio dell'autunno che languisce, fenici dai mille colori portano il messaggio della sera nella limpida brezza. I sacri palazzi sono arche preziose, costruite di perle e di gioielli. Qui è la sala autentica in cui si discute la Via, dalla quale i sutra si diramano in tutto l'universo.
Perenne bellezza di fiori di primavera; verde smagliante dei pini dopo la pioggia; angelica purpurea e frutti di immortalità che crescono un anno dopo l'altro; tutti ammirano il volo dell'uccello scarlatto.
"Guarda che bei posti, Consapevole del Vuoto!" esclamò Tripitaka, puntando il frustino verso gli edifici.
"Lo credo che sono belli!" rispose Scimmiotto. "È strano: tante volte siete corso a prosternarvi davanti a Buddha finti e a false mete. E ora che siete arrivato, non scendete nemmeno da cavallo. Come lo spiegate?"
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