Wu Cheng'en
VIAGGIO IN OCCIDENTE


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     Abbiamo già qualificato di bacchettoneria la virtù del san Tripitaka del romanzo. Il personaggio ha molti altri ingredienti sgradevoli. Senza pretesa di esaurire l'elenco, e senza citare i luoghi del racconto, è sovranamente egoista, opportunista, ipocrita, vanitoso, piagnucoloso, vile, vendicativo e avaro. Forse è anche stupido; forse è il suo destino. Quando Scimmiotto piange sulla sua sorte, il lettore piange sulla fedeltà mal riposta.
     Un esempio. Tripitaka non va esente da impulsi sadici, ma disapprova fieramente la violenza altrui. Va predicando la dottrina ufficiale, che il monaco deve essere tanto rispettoso della vita, da prendersi cura delle formiche quando spazza il pavimento, e da proteggere con garze il fuoco delle lampade perché le falene non si brucino le ali. Ma in concreto, oltre a mostrare grande pavidità, dichiara tutt'altri motivi della sua avversione: il timore di esser visto sul luogo del delitto, e di trovarsi coinvolto in pericolose conseguenze giudiziarie; e l'indignazione per la mancanza di riguardo verso di lui, il santo Tripitaka pieno di compassione, della quale dà prova il villanzone che si abbandoni a violenze in sua presenza.

     Eppure, nello stesso tempo, Tripitaka possiede il prestigio che deriva da un'antica saggezza.

     2. Il libro utilizza copioso materiale mitografico, tanto cinese quanto indiano, sia riferendolo, sia prendendolo a modello. Il racconto ha motivi in comune con il Râmâyana, venerando epos mitologico fuori dal tempo, in cui la scimmia Hanuman incarna il guerriero fedele. L'autorevole Joseph Needham, Scienza e civiltà in Cina, afferma che Scimmiotto "è ovviamente il dio indiano Hanuman così come se lo raffiguravano i cinesi". È plausibile. Comunque questa raffigurazione cinese conserva poco di divino e di indiano, ancor meno del buon/buona Avalokitesvara-Guanyin. Scimmiotto non è fuori dal tempo come Hanuman: vive nel tardo e decadente impero Ming.


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