Man mano che il racconto avanza si sarebbe portati a dimenticare la sua natura scimmiesca; sia perché è un uomo straordinario, dotato di una incontenibile, perenne, destabilizzante, feroce allegria e soggetto a una collera incendiaria; sia perché detiene il punto di vista dominante, e il lettore (di solito homo sapiens) viene invitato a identificarsi con lui. Tuttavia c'è sempre qualcosa a ricordare che è scimmia; come la sfacciataggine, o magari le borse che le scimmie portano sotto le guance, per riporvi cibo da masticare con comodo, e che Scimmiotto usa come noi le nostre tasche.
Il suo primo successo è stato di organizzare il suo branco di scimmie e di divenirne il capo. La vita lo porta fino a salire al paradiso taoista, a metterlo a soqquadro, a perdere con ciò le sue chances di inserimento come piccola divinità in soprannumero, a subire una condanna a morte che nessuno risulta in grado di eseguire, a candidarsi per un momento a prendere lui stesso in mano le redini dell'universo al posto dell'Imperatore di Giada, a una lunga prigionia e a ricominciare daccapo la scalata - questa volta al paradiso buddista. Ma alle sue scimmie dice che desidera soltanto di venire a capo dei troppi impegni che si è sconsideratamente presi e di ritornare a regnare pacificamente fra loro. Se lo dice lo pensa, perché Scimmiotto non ama la menzogna e la usa solo a ragion veduta, di solito come arma di combattimento; resta da vedere se la sua incontenibile irrequietezza gli consentirà davvero di mettersi in pensione.
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