Wu Cheng'en
VIAGGIO IN OCCIDENTE


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     Avevamo già accennato al contrasto fantasia-burocrazia come motore della comicità del romanzo; in realtà quel motore è più potente e più complesso, perché sue ulteriori componenti sono il temperamento professionale e il limpido sguardo del protagonista.
     In breve, Scimmiotto si dedica in vita sua a tre mestieri: re di scimmie, immortale e soldato. Andare in cerca di sutra in occidente ("che cosa varranno mai quegli stracci di sutra?") è importante per lui, non per propensione religiosa, ma solo perché è l'obiettivo della sua missione militare di protezione, alla quale al bisogno è capace di sacrificare molto: persino la sua collera o la sua allegria (a Tripitaka, sempre pieno di nostalgie, impazienze e paure: "Guardate me: vedo le cose come sono, penso solo alla nostra meta e non sogno mai.").

     Se Scimmiotto fosse un manichino professionale, sarebbe senza macchia; ma poiché è un uomo (-scimmia-scheggia del caos), qualche defezione la commette: per esempio alla fine del capitolo 14, in seguito a una provocazione che qualunque persona onesta riconoscerà gravissima, sta per rompere la testa all'oggetto della sua protezione; ciò che lo ferma è solo la forza. La faticosa repressione del versante 'scheggia del caos' determina il curioso episodio di sdoppiamento della personalità del 'macaco a sei orecchie' (capp. 57-58), in cui la sua aggressività repressa si incarna in un virulento sosia: un bel caso di doppelgänger, un gotico cinese senza penombre mistiche né mistificanti, ma in sgargianti colori da decalcomania.


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