Naturalmente non ci si può aspettare niente di sentimentale o di allucinato da un temperamento così attivo e concreto. Si veda la mentalità dei protagonisti illustrata in una emblematica notte al chiar di luna (cap. 36): Tripitaka si lascia andare alla sua vena lirica deboluccia e compone brutti versi; Scimmiotto gli rimprovera di non vedere le cose ma soltanto i propri sentimenti, e gli snocciola una lezioncina elementare di cosmologia taoista sulla luna e sul modello di interpretazione dell'universo che se ne suole derivare.
Limpido sguardo. Al tempo dei Ming, sovrani cinesi che avevano riscattato il loro paese dalle mani dei mongoli Yuan, si svilupparono un forte nazionalismo e un intenso conservatorismo confuciano: quanto di più conformista si possa immaginare. I loro successori, i mancesi Qing (ultima dinastia dell'impero cinese), benché di nuovo stranieri, posero ogni impegno nel restaurare l'immobilità politica e culturale. I decenni del periodo di passaggio dall'una all'altra dinastia - quelli del rinascimento-decadenza Ming in cui, come abbiamo più volte accennato, nacque il Xiyou Ji - furono pressappoco la sola finestra non conformista della cultura cinese nell'arco di tempo fra il 1368 e il 1912. Scimmiotto dovette piacere alla gente anche per l'insolito spirito di indipendenza con cui si rivolgeva al potere costituito, esercitando ora la ribellione, ora il mugugno; è probabile che, se fosse nato prima o dopo, avrebbe dovuto rinunciare alla sua bella disinvoltura.
Queste circostanze aiutano a spiegare la sorprendente capacità che mostra Scimmiotto di parlare (o far parlare la Cina) al lettore occidentale.
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