Wu Cheng'en
VIAGGIO IN OCCIDENTE


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     Parola della massima autorità morale dell'universo. Come se, in una leggenda cristiana, Gesù ridesse in faccia a santi pellegrini in cerca di salvezza per le anime nostre, e gli dicesse: "È naturale che la Madonna e San Giuseppe vi mandino all'inferno, se voi non gli date la mancia."
     Basterebbe l'atteggiamento di Scimmiotto a fugare ogni dubbio che possa trattarsi di etica locale della Cina dei Ming, da non giudicare con altri codici. Conformista o no, l'eroe di un romanzo popolare deve per forza applicare un metro di giudizio pianamente comprensibile ai suoi lettori.
     Come si vede, il nostro romanzo buddista non usa per il Paradiso Occidentale riguardi maggiori che per il Paradiso dell'Imperatore di Giada. La "città proibita" taoista sa di polizia e di caserma; e i suoi prodi marescialli dai lunghi titoli onorifici, tutti insieme, non sono capaci di tenere in rispetto nemmeno una scimmia (d'altronde di gran temperamento). La corte buddista, nel suo paesaggio piacevole non più di una qualsiasi "fantasmagoria diabolica", pullula di mendicanti, scrocconi e sfaccendati burloni che non rispettano nessuno.

     Infatti angeli e santi buddisti si burlano dapprima del turlupinato Tripitaka che ritorna dal Buddha a protestare: "Sempre in cerca di sutra, santo monaco?" E poi, quando i sutra vengono consegnati davvero (la richiesta della mancia si ripete e Tripitaka, per amor di pace, consegna la sua ciotola d'oro delle elemosine) ridono di Ânanda: "Hai visto lo svergognato? Fa finta di niente e arraffa la ciotola!" In questo modo, ridono anche del predicozzo del Buddha sulla pietà paterna.


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