Scimmiotto in questi casi non è portato a ridere, ma ad arrabbiarsi. Tuttavia lo sguardo che i suoi "occhi di fuoco dalle pupille d'oro" rivolgono a persone e cose resta sempre il più limpido, e il più comprensibile anche per gente, come noi, lontana dal suo tempo e dal suo paese. Grazie a lui possiamo mescolarci al pubblico dei destinatari originari del racconto, condividerne il piacere e comprendere senza sforzo la loro umanità.
Un'ipotesi sulle vicende del libro. Viene naturale supporre un nesso tra i seguenti fatti. Il Xiyou Ji: 1. contiene una feroce satira del governo imperiale, su cui sono modellate tutte le corti e burocrazie di cui dice peste e corna; 2. attraversò indenne la lunga stagione conservatrice e repressiva della dinastia Qing; 3. fu bardato degli "orpelli delle tre dottrine", come li definisce Hu Shi, a opera dei commentatori. I quali, del resto, presero spunto da elementi espliciti del libro, come la farcitura di titoli e versi di ispirazione mahayana o taoista: il libro non nacque del tutto privo di orpelli, benché sia arduo credere che l'autore li prendesse sul serio.
Dopo la caduta dell'impero, Hu Shi lodava "il chiaro e semplice spirito ludico dell'opera, e il suo umorismo". Ma nei secoli precedenti il governo, che faceva le spese di quel buonumore, sarà stato propenso a prendervi parte? Si sa che il potere non ride mai; e avrebbe potuto facilmente far scomparire nel nulla un testo sgradito.
Forse è azzardato supporre che Wu Cheng'en prendesse misure intenzionali (ricorso a materiali da cantastorie, farcitura buddista) per sottrarre la sua satira a rischi di censura; per quanto, nei tempi instabili in cui visse, non saranno mancati motivi di incertezza su limiti e tenuta dell'apatia governativa. In ogni caso sembra plausibile che l'involucro esoterico, tessutogli intorno dai commentatori con tutt'altre intenzioni, abbia di fatto agevolato la sopravvivenza del libro in tempi meno propizi, deviando l'attenzione dalla sua sfacciataggine e aggressività.
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