Scimmiotto, ascoltandolo, sghignazzava fra sé: "Che scemo, questo Buddha! Faccio salti da cento ottomila li, e dovrei aver problemi a saltar fuori dal palmo della sua mano, che è meno di un piede quadrato." E chiese precipitosamente: "Lo hai detto e lo farai?"
"Si capisce" rispose il Buddha, e aprì la sua mano destra, che era grande come una foglia di loto.
Scimmiotto raccolse la sua sbarra, balzò sulla mano del Buddha e gridò: "Pronti, via!"
Si sarebbe detto che filasse alla velocità della luce. Ma gli occhi sapienti del Buddha lo vedevano girare in tondo come un mulino a vento, mentre credeva di avanzare. A un tratto Scimmiotto vide stagliarsi cinque colonne rosa, che si perdevano in alto nella bruma azzurrina. "Sarà la fine della strada" si disse. "È tempo di ritornare. Il Buddha dovrà ammetterlo: adesso tocca a me sedere sul trono nella Sala delle Nuvole Misteriose." Poi rifletté: "Calma. Converrà lasciare un segno del mio passaggio, in modo da evitare contestazioni."
Si strappò un pelo, ci soffiò sopra e ordinò: "Cambia!" Il pelo divenne un pennello imbevuto d'inchiostro. Allora Scimmiotto scrisse, in grandi caratteri, sulla colonna di mezzo:
IL GRANDE SANTO UGUALE AL CIELO È STATO QUI
Poi ricuperò il suo pelo. Infine, senza troppo rispetto, annaffiò della sua pipì di scimmia la base della prima colonna. Con una capriola fra le nuvole in direzione inversa ritornò al punto di partenza e, ritto sul palmo del Buddha, gli disse: "Andato e tornato. Adesso dì all'imperatore di levarsi dai piedi."
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