"Diabolica scimmia pisciona!" imprecò il Buddha. "Ma tu non sei mai uscito dal palmo della mia mano."
"Non lo sai? Sono arrivato in capo all'universo, dove cinque colonne rosa sostengono una bruma azzurrina. Ci ho anche lasciato un ricordino. Vieni a vedere."
"Non occorre andare a vedere da nessuna parte: china la testa e guarda."
Scimmiotto abbassò la testa e sbarrò i suoi occhi di fuoco dalle pupille d'oro. Sul dito medio della mano era scritto:
IL GRANDE SANTO UGUALE AL CIELO È STATO QUI
D'altronde, dalla forcella formata dal pollice e dall'indice veniva un acre odore di pipì di scimmia. "Che storia è questa? Com'è possibile?" esclamava Scimmiotto fra sé. "Avevo scritto quelle parole su un pilastro del cielo; come fanno a trovarsi sul dito? Che specie di mago senza bisogno di achillea è mai questo? Non ci credo, non è possibile: bisogna che torni sul posto a vedere."
Il bravo Scimmiotto prese la rincorsa e stava per saltare quando il Buddha, con un manrovescio, lo gettò lontano, fuori dalle porte del paradiso. Le cinque dita si mutarono in una catena di cinque montagne, corrispondenti ai cinque elementi: metallo, legno, acqua, fuoco e terra. Esse si ripiegarono dolcemente ma pesantemente su di lui, e lo imprigionarono sotto le loro enormi masse. Gli dèi del tuono, Ânanda e Kâsyapa applaudirono, gridando: "Bene! Bravo!"
Da quando uscì dall'uovo e apprendeva saggezza,
Tendeva il suo volere verso scopi ambiziosi.
Se di tranquillità visse mille stagioni,
Infine in un sol giorno dissipò la sua vita.
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