Mentre l'angoscia lo torturava, incominciava appena ad albeggiare. I due esseri malefici se ne andarono solo all'aurora, scambiando abbracci e dicendo: "Ci avete convitato magnificamente; la prossima volta ci permetterete di ricambiare."
Mentre il sole rosso saliva in cielo, Tripitaka era rimasto in un tale stato di sbalordimento, che non sarebbe riuscito a distinguere la destra dalla sinistra. Mentre se ne stava lì tutto istupidito, gli comparve davanti un vecchio che impugnava un bastone. Bastò che sfiorasse i suoi legami, perché si spezzassero. Ma Tripitaka ritornò in sé solo quando il vecchio gli alitò in volto. Allora si inginocchiò: "Grazie, nobile vegliardo, di aver salvato la vita all'umile monaco che sono."
"Alzati" rispose il vecchio. "Non ti pare di aver perduto qualcosa?"
"La mia scorta è stata divorata. Dovrebbero rimanere il cavallo e i bagagli, ma non so dove sono."
"Là" fece il vecchio indicando con il bastone. "Quelli non sono un cavallo e due fagotti?"
Tripitaka volse la testa e si consolò vedendo che non aveva perduto tutto. Chiese al vecchio: "Che posto è questo? E voi come vi ci trovate?"
"Si chiama Montagna della Doppia Forca. Come vi è venuto in mente di venirvi a ficcare in questo rifugio di tigri e lupi?"
"Siamo partiti dal posto di frontiera di Hezhou al canto del gallo, ma era più presto del dovuto. Ci siamo aperti la strada come potevamo sul ghiaccio, e siamo caduti in una fossa. Un diavolo orribile ci ha fatto legare, me, il vostro umile monaco, e i due compagni che avevo. Poi sono comparsi un forzuto di pelo scuro, che si diceva signore di Monte Orso, e un grassone, l'eremita Zebù. Si rivolgevano al diavolo chiamandolo 'generale Yin'. Hanno divorato i miei compagni e, al sorgere del sole, si sono separati. Non avevo più speranza di avere l'inaudita fortuna di essere soccorso."
|