Wu Cheng'en
VIAGGIO IN OCCIDENTE


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     Si rivolse alla nuora, le fece portare la pentola piccola, la mise al fuoco per bruciare il grasso e la grattò e raspò a lungo, la lavò e rilavò, prima di rimetterla sul fornello.
     Poi preparò un infuso di foglie d'olmo, e vi fece cuocere sorgo e miglio; preparò anche dei legumi secchi e versò tutto in due tazze che posò sulla tavola. Quindi si rivolse a Tripitaka: "Servitevi, reverendo. È cibo della massima purezza che abbiamo preparato con le nostre mani, mia nuora e io."
     Tripitaka scese dal seggiolone dove stava seduto, la ringraziò e si mise a tavola.
     Boqin gli teneva compagnia, fra tazze e piatti di carni di tigre, daino muschiato, pitone, volpe e lepre, senza sale né salsa, oltre a fette di carne essiccata. Si era appena seduto e impugnava le bacchette, quando Tripitaka giunse le mani e recitò una preghiera. Il cacciatore ne fu tanto sconcertato che abbandonò le bacchette e balzò in piedi. Il monaco recitò pochi versi e invitò la compagnia a mangiare.

     "Siete un monaco specializzato in sutra cortissimi."
     "Non era un sutra" spiegò Tripitaka, "ma solo la formula che si recita prima di un pasto di magro."
     "Certo che ne inventate di complicazioni, voialtri monaci. Persino prima di mangiare, c'è la formula!"
     Concluso il pasto e dopo che si fu sparecchiato, Boqin guidò Tripitaka a visitare la proprietà. Percorsero un sentierino che li condusse a una capanna coperta di stoppie. Ne spinsero la porta: ai muri erano appesi pesanti archi e potenti balestre; molti turcassi colmi di frecce vi erano appoggiati. Dalla trave pendevano due pelli di tigre stese ad asciugare, puzzolenti e sporche di sangue raggrumato. Negli angoli erano appese lance, forche, spade e randelli. Due seggiole erano collocate in mezzo alla stanza, e Boqin invitò Tripitaka a sedersi. Ma l'ambiente minaccioso e ripugnante non incoraggiava a prolungare la visita. Quando uscirono raggiunsero un ampio giardino con aiuole di crisantemi gialli e ricche chiome di aceri dalle foglie rosse. Con un fruscio, sbucarono dagli alberi una diecina di cervi ben nutriti e un intero gregge di daini, che non mostravano alcun timore della presenza umana.


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