Boqin, la madre e la moglie non poterono fare altro che preparare in fretta e furia gallette di farina e altre provviste secche. Le donne pregarono il figlio e marito di partire con lui per accompagnarlo il più a lungo possibile. Tripitaka accettò con sollievo. Boqin portò con sé due o tre giovani domestici, muniti di trappole per i conigli selvatici, e si mise in via con il monaco. Camminando non si stancavano di contemplare l'aspetto selvaggio della montagna e il gioco del vento e del sole sulle cime.
Dopo mezza giornata di cammino, giunsero ai piedi di una montagna immensa, alta da toccare il cielo, ripida e minacciosa. Il cacciatore si arrampicava svelto come se avesse camminato in pianura. Arrivati a mezza costa, Boqin si fermò e disse: "Reverendo, qui vi devo lasciare e ritornare indietro."
Tripitaka quasi cadeva di sella: "Un'altra tappa, vi supplico, se potete darvene la pena!"
"Voi non sapete, reverendo, che questo è il Monte delle Due Frontiere: il versante orientale è ancora sotto la giurisdizione dei Tang, ma quello occidentale appartiene ai Tartari. Lupi e tigri dall'altra parte non sono più sotto il mio controllo; e comunque non ho passaporto: ci dovrete andare da solo."
Tripitaka era così inquieto che lo tratteneva per la manica e si mise a piangere a calde lacrime.
Proprio nel momento di questa straziante separazione, si udì salire dalle viscere della montagna una voce di tuono che gridava: "Finalmente il mio maestro è arrivato!"
Tripitaka restò impietrito, ma anche Boqin si mise a tremare.
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