"Eh, caro il mio vecchio, stai proprio diventando cieco!" gridò Scimmiotto con voce tonante. "Si capisce che il mio maestro è della corte cinese, e io non sono né cinese né cortese(16). Io sono il Grande Santo Uguale al Cielo. I tuoi mi conoscono benissimo, e ho già visto anche te."
"E dove mi avresti visto?"
"Da giovane non mi venivi sotto il naso, in cerca di legna e di erbe?"
"Che scemenze! E dove avremmo abitato, quando cercavo legna ed erbe vicino al tuo naso?"
"Proprio non ci arrivi! Tu non mi riconosci, ma io sono il grande santo del cofano di pietra del Monte delle Due Frontiere. Guarda meglio!"
"Be', è vero che un po' gli assomigli; ma come ne saresti uscito?" esclamò il vecchio, che finalmente incominciava a capire.
Scimmiotto gli raccontò per filo e per segno come era stato reclutato da Guanyin per la buona causa, e liberato con l'intervento del monaco cinese che aveva tolto i sigilli.
Finalmente il vecchio si decise a salutarli e a invitarli a entrare, chiamando moglie e figli perché si facessero vedere. Raccontò loro com'erano andate le cose e li fece divertire. Poi fece servire il tè e disse a Scimmiotto: "Grande santo, anche tu ormai dovresti avere una certa età."
"Tu che età hai compiuto quest'anno?"
"Sono cresciuto in età, ma non in saggezza, fino a cento trent'anni."
"Potresti essere il bisnipote del mio bisnipotino. Non ricordo nemmeno quando sono nato; solo il tempo passato sotto questa montagna, è mezzo millennio."
"Sì, sì, ricordo le storie del mio bisnonno: la montagna era caduta dal cielo e aveva imprigionato una scimmia divina; e non ne sei uscito che oggi. Ti ho visto quand'ero un ragazzino: avevi la faccia piena di fango, ti cresceva l'erba in testa. Allora non mi facevi paura. Sembri un po' smagrito, senza fango né erbe in testa. Con questa pelle di tigre intorno alla vita, come si fa a distinguerti da un mostro?"
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