"Maestro, per carità, se avete fame vado subito a mendicare del cibo."
"Non occorre chiedere l'elemosina. Ho ancora nel sacco le provviste che mi ha dato la madre di Liu, il cacciatore. Prendi la tazza e cercami dell'acqua. Ripartiremo dopo aver mangiato."
Scimmiotto aprì il sacco e ci trovò qualche galletta, che tese al maestro. Ma, vedendo scintillare la tunica e il berretto ricamato d'oro, chiese: "Sono vestiti che avete portato con voi dall'Est?"
"Li portavo da ragazzo" mentì disinvolto Tripitaka. "Chi porta questo berretto, recita i sutra senza fare nemmeno la fatica di impararli; chi indossa la veste, pratica tutto il cerimoniale senza bisogno di esercitarsi."
"Siate gentile, fatemeli provare!"
"Non so se ti vadano bene; comunque puoi indossarli, se vuoi."
Scimmiotto si tolse la tunica di tela bianca e indossò quella di broccato: manco a dirlo, sembrava fatta su misura. Poi si mise il berretto. Quando Tripitaka glielo vide in testa, si mise a recitare sottovoce l'incantesimo del cerchio che stringe.
"Che mal di testa! Ma è tremendo, non ne posso più!" gemeva Scimmiotto.
Il maestro continuava a ripetere la formula, e il povero Novizio si rotolava per terra dal dolore e strappava i ricami dal berretto, senza riuscire a sfilarselo. Infine Tripitaka smise, solo per paura che il cerchio potesse rompersi. Subito il dolore scomparve. Scimmiotto si tastò cautamente la testa: un sottile filo d'oro ne serrava la sommità, e non c'era verso di levarlo né di spezzarlo; faceva tutt'uno con la pelle. Prese il suo ago e cercò di infilarlo sotto il cerchio per sollevarlo. Temendo che ci riuscisse, Tripitaka riprese a borbottare l'incantesimo. Lo stesso spaventoso dolore aggredì nuovamente la scimmia, facendola balzare e capitombolare qua e là all'impazzata. Aveva le orecchie paonazze, la faccia cianotica, gli occhi che schizzavano dalle orbite, si sentiva mancare.
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