"Non ci farà mica paura quello lì" replicò Scimmiotto. "Aspettate che lo riavvolga nella carta, perché lo prenda e se lo guardi finché vuole. Ci penso io. Se ci sarà qualche manovra losca, metterò tutto a posto."
Tripitaka non poteva rifiutare e acconsentì che il kasâya fosse consegnato al vecchio monaco:
"Guardatelo a vostro piacere, ma domattina me lo dovete rendere. Vi raccomando di non sporcarlo né danneggiarlo in alcun modo."
Mentre un giovane domestico portava via l'abito, il vecchio monaco, soddisfatto, fece spazzare la sala di meditazione anteriore, vi fece portare due letti di bambù e disporre coperte e lenzuola, per metterla a disposizione degli ospiti. Diede anche ordine che l'indomani, prima della partenza, fosse servito un pasto di magro. Ci si separò. Maestro e discepolo chiusero l'uscio della sala e si addormentarono.
Il patriarca, dopo averli indotti ad affidargli la veste, l'aveva fatta portare nella sua camera. Ora stava ritto sotto le lampade di fronte al kasâya e singhiozzava. Il superiore, preoccupato, non osava ritirarsi. Uno dei ragazzi, che non sapeva il motivo di quei segni di dolore, andò ad annunciare agli altri monaci: "Il nonno continua a piangere; è la seconda veglia, e non ha ancora smesso di singhiozzare."
Due giovani discepoli, fra i suoi beniamini, gli andarono a chiedere: "Patriarca, perché piangete?"
"Piango sulla sfortuna di non poter contemplare il tesoro del monaco cinese."
"Nonno, alla vostra età siete un po' svanito. Il kasâya è qui davanti a voi: basta aprire l'involucro e lo si può guardare finché si vuole. Che bisogno c'è di piangere?"
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