"Bravo mostriciattolo!" pensava Scimmiotto. "Non occorre poi torturarlo, per farlo cantare. Ora che so nome e indirizzo, non mi scappi più."
"Vogliono chiamare un maestro della legge per catturarti" riprese Scimmiotto rivolto al mostro.
"Vieni a letto" replicò lui ridendo. "Dormiamo, lasciali perdere quelli là! Conosco tante trasformazioni quante sono le stelle dell'Orsa Maggiore, e col mio tridente a nove punte non c'è maestro della legge, monaco buddista o prete taoista che vorrebbe fare i conti. Se il tuo vecchio è così pio, si provi a far scendere dal nono cielo il Patriarca Ammazza Diavoli: ma anche lui è un vecchio amico, e non mi farebbe niente di male."
"Parlano di chiedere aiuto al Grande Santo Uguale al Cielo, un certo Scimmiotto, che cinquecento anni fa fece una bella cagnara in paradiso."
"Se è questo che dicono, vado via" replicò il mostro allarmato. "Mi dispiace, ma non possiamo più restare insieme."
"Perché scappi via così?"
"Ma non capisci? Questo equipuzio, che combinò il parapiglia nel palazzo celeste, ha poteri con cui non posso competere; non ho intenzione di fare cattiva figura."
Si riveste in fretta e furia, e infila l'uscio. Scimmiotto lo agguanta e riprende il suo normale aspetto.
"Dove vai, giovanotto? Dammi un po' un'occhiata."
Il mostro si vede davanti la fila di denti candidi nella bocca ghignante, gli occhi di fuoco con le pupille d'oro, la testa appuntita e il muso peloso: sembra il dio del tuono. Si sente le gambe molli, le mani paralizzate, ma con la forza della disperazione dà uno strattone, che lascia in mano a Scimmiotto il vestito strappato, si trasforma in un turbine di vento e vola via. Scimmiotto lo insegue, tira fuori il suo randello e mena gran colpi al vento.
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