Wu Cheng'en
VIAGGIO IN OCCIDENTE


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     Avrei buttato giù tutte le porte.
     Le mie allegre schermaglie non sfuggirono
     A quel brutto impiccione di Maestro
     Di Perspicacia, che andò a riferire
     Come stavo insidiando la virtù
     Della dea, nientemeno, della Luna!
     L'Imperatore di Giada decise
     Della mia sorte; mandò a circondare
     Tutto il palazzo senza vie d'uscita:
     Fui catturato con le braghe in mano.
     Alla corte imperiale fui tradotto,
     E certo sarei stato condannato
     A morte, se non fosse intervenuto
     Impetrando la grazia il dio di Venere.
     Mi diedero comunque senza indugio
     Ben duemila vergate: le ossa rotte,
     Le carni lacerate e sanguinanti.
     A stento ne uscii vivo. Fui bandito
     Dal Cielo e in questi monti ebbi rifugio.
     Se mi incarnai così modestamente,
     Dentro spoglie suine, ciò è dovuto
     Al crimine che ho appena raccontato."


     "Dunque tu sei l'avatara della divinità acquatica dei Canneti Celesti!" esclamò Scimmiotto. "Non mi stupisce che conoscessi il mio nome."
     "Accidenti a te, equipuzio della malora, sapessi quante noie dovemmo subire l'anno in cui provocasti tutti quei disordini! E adesso ci riprovi. Se non righi dritto, dovrò farti assaggiare il mio rastrello."
     Scimmiotto, al momento, non si sentiva di umore tollerante; perciò alzò la sbarra di ferro e la calò mirando alla testa. Incominciò un duello che si prolungò nella notte scura. Che botte, avi miei!

     Gettano lampi le pupille d'oro
     Di Scimmiotto; del mostro gli occhi tondi
     Fan crepitare dei fiori d'argento.
     Nuvole colorate emette l'uno,
     La nebbia rossa va sputando l'altro.
     Sbarra contro rastrello in forti mani.


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