Avrei buttato giù tutte le porte.
Le mie allegre schermaglie non sfuggirono
A quel brutto impiccione di Maestro
Di Perspicacia, che andò a riferire
Come stavo insidiando la virtù
Della dea, nientemeno, della Luna!
L'Imperatore di Giada decise
Della mia sorte; mandò a circondare
Tutto il palazzo senza vie d'uscita:
Fui catturato con le braghe in mano.
Alla corte imperiale fui tradotto,
E certo sarei stato condannato
A morte, se non fosse intervenuto
Impetrando la grazia il dio di Venere.
Mi diedero comunque senza indugio
Ben duemila vergate: le ossa rotte,
Le carni lacerate e sanguinanti.
A stento ne uscii vivo. Fui bandito
Dal Cielo e in questi monti ebbi rifugio.
Se mi incarnai così modestamente,
Dentro spoglie suine, ciò è dovuto
Al crimine che ho appena raccontato."
"Dunque tu sei l'avatara della divinità acquatica dei Canneti Celesti!" esclamò Scimmiotto. "Non mi stupisce che conoscessi il mio nome."
"Accidenti a te, equipuzio della malora, sapessi quante noie dovemmo subire l'anno in cui provocasti tutti quei disordini! E adesso ci riprovi. Se non righi dritto, dovrò farti assaggiare il mio rastrello."
Scimmiotto, al momento, non si sentiva di umore tollerante; perciò alzò la sbarra di ferro e la calò mirando alla testa. Incominciò un duello che si prolungò nella notte scura. Che botte, avi miei!
Gettano lampi le pupille d'oro
Di Scimmiotto; del mostro gli occhi tondi
Fan crepitare dei fiori d'argento.
Nuvole colorate emette l'uno,
La nebbia rossa va sputando l'altro.
Sbarra contro rastrello in forti mani.
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