"Sei un marmocchio viziato" replicò Scimmiotto. "Non sono tre mesi che hai lasciato la famiglia, e già incominci a lamentarti."
"Eh, fratello! Non sono capace, come te, di bere vento e masticar fumo. Se sapessi quanto mi costa seguire il maestro in questi giorni, mezzo morto di fame come sono!"
"Consapevole delle Proprie Capacità" intervenne Tripitaka, "se nel tuo cuore resti tanto attaccato alla famiglia, vuol dire che non riesci ad abbandonarla; forse ti converrebbe ritornarci."
"Maestro!" implorò il bestione spaventato, gettandosi ai suoi piedi, "non ascoltate le chiacchiere del mio condiscepolo. A lui piace parlar male della gente. Io non mi stavo lamentando; lo dice lui che brontolo sempre! Basta che io dica: 'ho fame, tanto vale che mendichiamo un po' di cibo', perché lui mi dia del marmocchio viziato. Maestro, mi ha precettato la pusa in persona, e voi mi avete concesso la vostra compassione: io voglio soltanto servirvi e venire nel Paradiso dell'Ovest, non rimpiango proprio niente. Non è forse quello che si dice: praticare una dura austerità? Non mi potete rimproverare di non voler abbandonare la famiglia."
"Va bene, alzati; sia come tu vuoi" rispose Tripitaka.
Il bestione si riprese e balzò in piedi; si rimise il carico in spalla e seguì gli altri con passo deciso, brontolando fra sé. Presto giunsero alle case.
Tripitaka smontò da cavallo, lasciando redini e frustino a Scimmiotto, Porcellino posò i bagagli e tutti e tre sostarono all'ombra di un albero. Poi Tripitaka, stringendo in una mano il bastone da monaco con nove anelli e reggendo nell'altra il cappello da pioggia di giunchi e strisce di bambù, si avvicinò a un uscio socchiuso e vide un vegliardo, seduto su un letto di canna d'India, che mormorava preghiere al Buddha.
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