Wu Cheng'en
VIAGGIO IN OCCIDENTE


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     "Non siamo tanto stanchi da metterci subito a dormire" assicurò Scimmiotto. "Posso chiedere al nostro benefattore se nel vostro nobile paese si trova in vendita qualche pomata per gli occhi?"
     "Chi di voi ha gli occhi malati, reverendo?"
     "Devo dire, caro amico, che noi monaci che abbiamo abbandonato la nostra famiglia non ci ammaliamo mai, non sappiamo nemmeno che cosa sia una malattia degli occhi."
     "Perché allora cercate pomate, se i vostri occhi non soffrono?"
     "Mentre combattevo per soccorrere il nostro maestro, all'ingresso della Grotta del Vento Giallo, il mostro mi ha soffiato d'improvviso negli occhi un vento ardente. Ora gli occhi mi dolgono e lacrimano: ecco perché mi servirebbe un rimedio."
     "Via! Alla vostra giovane età, e monaco per giunta, non dovete mentire così. Il soffio del sovrano del Vento Giallo non è una brezza di primavera, o uno zefiro di pini e bambù, ma il più letale dei venti!"

     "Suppongo" interloquì Porcellino "che sia il vento della meningite, o dell'epilessia, della lebbra, dell'emicrania?"
     "È ben altro! È il vento divino del samâdhi."
     "Di che cosa si tratta?" chiese Scimmiotto.
     "È un vento che può immergere l'universo nelle tenebre, affliggere dèi e diavoli, fendere rocce e rovesciare rupi. Distrugge ogni vita umana. Se davvero l'aveste subìto, non sareste qui; solo un immortale potrebbe uscirne vivo."
     "Si capisce!" esclamò Scimmiotto. "Naturalmente non siamo immortali - sono troppo giovani per noi - ma per ammazzare me ci vuol altro. Questo non toglie che gli occhi mi facciano maledettamente male."


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