"Che cosa fate, giovanotti?" esclamò ridendo Porcellino. "Sono ben strane le usanze del paese. Ci si chiude a chiave per pranzare, da queste parti?"
"Proprio così" rispose da fuori Chiaro di Luna. "Apriremo quando avrete vuotato i calici fino in fondo."
Ma Vento Puro perse le staffe: "Maledette zucche pelate, ghiottoni svergognati! Non vi è bastato rubare i nostri frutti di immortalità, avete anche abbattuto l'albero, avete sradicato il nostro santuario, e non vi vergognate di parlare con quel tono? E voi vorreste raggiungere il Paradiso dell'Ovest e vedere in faccia il Buddha? Ma sapete, invece, quante volte ancora dovrete spingere il carro delle reincarnazioni, e quali forme schifose dovrete assumere?"
A queste parole la ciotola di riso cadde di mano a Tripitaka e un grande peso gli gravò sul cuore.
I ragazzi tirarono i catenacci delle porte tutto intorno, poi ritornarono davanti alla porta principale e vi restarono fino a sera a proferire vituperi: ladri di qua, briganti di là; infine se ne andarono a cena e si misero a letto.
Tripitaka se la prendeva con Scimmiotto: "Benedetto zuccone di una scimmia! Ci metti sempre nei guai. Dopo tutto la frutta l'avevi rubata davvero; potevi lasciarli sfogare, incassare gli insulti che ti eri andato a cercare e chiuderla lì. Che bisogno c'era di abbattergli l'albero? In un caso del genere, se ti citassero in giudizio, non ti assolverebbe nemmeno tuo nonno."
"Maestro, non vi riducete in questo stato" replicò Scimmiotto asciugandogli la fronte sudata. "Quei ragazzotti sono andati a nanna: lasciamoli dormire. Noi intanto ce ne andremo via di qua."
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