In testa una corona d'oro puro,
Avvolto in una cappa di piumino
Di gru, bianco splendente, gran stivali
E cintura di seta. Un incarnato
Di donna reca in viso, ma inquadrato
Da barba e favoriti. I suoi capelli
Son legati in due crocchie ala-di-corvo.
Nel fronteggiar Scimmiotto, non è armato
D'altro che della sua coda di yak.
Scimmiotto pestava senza tanti riguardi con la sua sbarra, ma quella coda di yak con il manico di giada parava ogni colpo. Dopo avere resistito in questo modo a due o tre assalti, l'immortale ricorse al trucco detto dell'universo nella manica: dal bordo della nuvola dove si teneva ritto tese controvento la manica della sua cappa, l'aprì dolcemente e, op là! i quattro pellegrini e il cavallo vi furono aspirati e rinchiusi.
"Porca miseria, dove siamo finiti?" esclamò Porcellino. "Dentro un sacco!"
"Non è un sacco, scemo" disse Scimmiotto. "Ci ha infilati nella sua manica."
"Allora non è grave: dò una rastrellata e faccio un buco" propose Porcellino. "Basterà che ci lasciamo cadere da lì. Lui penserà di averci perduto per disattenzione, perché non aveva badato che la manica era scucita."
In effetti il bestione si mise al lavoro, ma non serviva a nulla: quel tessuto, così morbido a toccarlo, resisteva al rastrello più dell'acciaio.
Il grande immortale ritornò con la sua nuvola al tempio e ordinò ai discepoli di portare le corde. Sotto gli sguardi attenti dei giovani immortali, estrasse dalla manica i pellegrini, uno dopo l'altro, come se fossero marionette: per primo il monaco cinese, che fu legato a un pilastro della tettoia all'ingresso della sala grande; poi gli altri tre, che furono legati ciascuno a una colonna; il cavallo lo legarono nella corte e gli portarono il fieno. I bagagli furono gettati a terra sotto il portico.
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