"Discepoli" disse l'immortale, "questi bonzi sono gente che ha abbandonato la sua famiglia: non si possono usare armi bianche su di loro. Portate qui lo staffile a strisce di cuoio e dategli una bella correzione, che ci vendicherà dei frutti del ginseng."
I discepoli corsero a prendere lo staffile di cuoio, che non era di vacca o montone, di camoscio o bufalo, ma di pelle di drago: quella che si chiama sette stelle, ed era stata ben imbevuta d'acqua. Un giovane immortale dei più robusti impugnò baldanzoso lo staffile e chiese: "Da chi incominciamo?"
"Tripitaka è il più anziano di questa banda disonorata. Incomincia da lui."
Scimmiotto pensò: "Il nostro vecchio bonzo non sopporterà la fustigazione. Se muore, non sarò forse io a portarne la responsabilità?"
Perciò aprì bocca: "Maestro, vi sbagliate: i frutti li ho rubati io e li ho mangiati io; l'albero l'ho abbattuto io. Che cosa c'entra lui? Si deve incominciare da me."
"Questa maledetta scimmia ha stile, a modo suo" esclamò ridendo il grande immortale. "Va bene, incominciamo da lui."
"Quanti colpi?" chiese il fustigatore.
"Tanti quanti i frutti dell'albero: trenta."
Il discepolo levò alto lo staffile per abbatterlo a tutta forza. Scimmiotto, preoccupato dalla potenza dei mezzi di cui disponevano questi taoisti, seguiva i movimenti con attenzione per capire dove lo avrebbero colpito: vide che si mirava alle gambe. Con una scossettina, le trasformò in pezzi di ferro di forgia.
Somministrati i trenta colpi a intervalli stabiliti, era passato mezzogiorno. A questo punto il grande immortale ordinò: "Ora puniremo Tripitaka per il lassismo del suo insegnamento. Il suo testardo discepolo si è scatenato sotto la sua responsabilità."
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