"Triplo imbecille!" gli gridò Scimmiotto. "Non spaventare il maestro con le tue scemenze. Aspettatemi che vado a dare un'occhiata."
Nascose il suo randello e si fece incontro all'essere malefico salutandolo: "Emerito mandarino, i miei rispetti! Dove siete diretto? Perché pregate durante il cammino?"
Il mostro, che non era all'altezza di un avversario del calibro di Scimmiotto, non seppe che riprendere le invenzioni precedenti: "I miei avi, reverendo, hanno sempre abitato da queste parti; io ho consacrato la mia vita al bene, a fare elemosine ai monaci, dir preghiere e recitare sutra. Il destino mi ha dato una sola figlia, che ho maritato con un genero disposto a vivere con noi. Stamane l'ho mandata nei campi per portare la colazione ai lavoranti, ma non l'abbiamo più rivista: temo che sia caduta sotto gli artigli di qualche tigre. Mia moglie era uscita per cercarla, ma nemmeno lei ha fatto ritorno. Non so che cosa sia accaduto, le sto appunto cercando. Se è quello che temo, non mi resterà altro da fare che raccogliere le loro spoglie e dar loro sepoltura."
Scimmiotto scoppiò a ridere: "E io sono il re dei conta frottole! Non penserai mica di darmela a bere. Ti conosco benissimo, essere malefico!"
Il mostro smascherato restò sbigottito. Scimmiotto rifletteva: "Se non lo colpisco, mi scappa; se lo ammazzo, il maestro recita di nuovo quella cosa. Ma se mi scappa, finirà per trovare il modo e l'occasione di rapire il maestro, e io dovrò faticare e spremermi le meningi per liberarlo. Mi conviene colpire; quando l'avrò ammazzato e il maestro reciterà l'incantesimo, troverò pure l'argomento buono per togliermi dai guai. La lingua sciolta non mi manca. E poi lo dice anche il proverbio che nemmeno la tigre più feroce mangia i suoi piccoli."
|