Batte nelle alte ondate il polso della terra,
Dai flutti salgon brume ad annebbiare il cielo:
Rombando come tuono la marea va montando
E sommerge le baie come un vasto uragano.
Sorvolano immortali, cavalcando gru o draghi.
Rive disabitate, senza città o villaggi.
Son pochi i pescatori che navigan quelle acque,
Che sembran rotolare neve di mille anni
Sotto un vento mugghiante di bufera invernale.
Non ci son barche in vista. Questo è il regno dei pesci.
Lo strido dei gabbiani risuona da lontano.
Stormi d'oche selvatiche vanno solcando il cielo.
Infine Scimmiotto scavalcò l'oceano con un balzo e subito raggiunse il Monte di Fiori e Frutti. Abbassò la sua nuvola, scrutò il suolo, e che vide? La montagna era brulla e deserta, non ne salivano vapori né si vedevano segni di vita: rupi diroccate, foreste calcinate. Che cos'era accaduto? In effetti, durante la guerra in cui Scimmiotto era stato catturato e condotto prigioniero nel mondo di Sopra, Erlang e i suoi fratelli del Monte dei Susini avevano devastato tutta la zona, lasciandola in quello stato. Scimmiotto si sentì ancor più depresso; lo dice questa elegia in stile antico sul paesaggio desolato:
Piango quando ci penso,
Raddoppia la mia pena
Al veder devastato
Il Monte del mio cuore,
Che io credevo immune
Da qualunque sciagura [...]
Furono i miei misfatti
D'altri tempi a condurmi
Al presente cordoglio.
Il povero Scimmiotto affogava in un mare di tristezza. Ed ecco che dalle rocce sparse sul pendio sbucarono sette od otto scimmiette, che gli corsero incontro e si prosternarono gridando: "Grande santo! Padre! Siete qui!"
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