Sbarazzarono il terreno dalle creature malefiche che restavano in giro e ritornarono nella grotta per dare la buona notizia a Tripitaka: "La montagna è ripulita, non ci sono più mostri. Se volete montare a cavallo, maestro, sarebbe l'ora di riprendere il cammino."
Tripitaka non stava in sé dalla gioia. Consumarono la colazione, fecero i bagagli, sellarono il cavallo e ripresero il cammino, maestro e discepoli, sulla strada dell'Ovest.
Mentre camminavano, un mendicante apparve all'improvviso sul ciglio della strada, venne avanti, prese le redini del cavallo di Tripitaka e gridò: "Monaco, dove vai? Restituiscimi i miei tesori!"
"Siamo fottuti!" esclamò spaventato Porcellino. "Riecco il mostro che reclama le sue cose."
Scimmiotto, che guardava attentamente, riconobbe il signore Laozi e si precipitò a salutarlo: "E voi, grande signore, dove andate?"
Il patriarca montò in cielo sul suo prezioso trono di giada, e da lì ripeté: "Scimmiotto, restituiscimi i miei tesori!"
"Quali tesori?" chiese il grande santo montando in aria anche lui.
"La zucca mi serve come recipiente per il cinabro, il vaso per l'acqua, la spada per castigare i diavoli, il ventaglio per attizzare il fuoco e la corda d'oro è una cintura del mio guardaroba. Quei due mostri non erano altri che il garzone che sorveglia il forno dell'oro e quello che si occupa del forno dell'argento. Stavo proprio cercandoli in giro, perché erano fuggiti nel mondo di Sotto rubandomi le suppellettili di casa. Sono loro che oggi avete catturati, e ve ne sarà reso merito."
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