Seguì il superiore verso la sua cella: si era seduto, ancora ansimante di collera, davanti a un tavolo coperto di fogli. Sutra o pia corrispondenza? Tripitaka non osò entrare, si tenne sull'uscio, s'inchinò e disse ad alta voce: "Maestro di questo monastero, il vostro discepolo vi saluta religiosamente."
Il bonzo gli rese il saluto con un moto di insofferenza e chiese bruscamente: "Tu da dove vieni?"
"Il vostro discepolo è stato inviato dall'imperatore dei grandi Tang al Paradiso dell'Ovest, per salutare il Buddha vivente e cercare le scritture. Poiché passavamo presso il vostro prezioso convento mentre scende la sera, sono venuto a pregarvi di offrirci ospitalità: ripartiremo domattina prima dell'alba. Spero di non recarvi disturbo."
Il superiore disse: "Dunque tu sei il monaco cinese Tripitaka?"
"Sono io, con il vostro permesso."
"Come si può andare all'Ovest per cercare le scritture, e non conoscere la strada?"
"Non ero mai passato da queste parti."
"A quattro o cinque li verso ovest c'è la locanda dei Trenta Li: vende anche cibo. Quello è il posto dove dovete passare la notte. A noi non piace ospitare viandanti che vengono di lontano."
"Maestro" replicò Tripitaka giungendo le mani, "non dicono forse gli antichi: tempio, romitaggio o monastero sono gli alberghi di noi religiosi; la sola vista dell'entrata vale promessa di tre litri di riso? Perché rifiutare ospitalità?"
"Maledetti accattoni!" gridò il superiore con la voce alterata dalla collera. "Sapete solo abbindolare la gente."
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