I monaci si prepararono e si misero in fila. Alcuni si erano avvolti nel kasâya, altri portavano la tunica lunga; quelli che non avevano di meglio, si erano infilati vesti a campana; e i più poveri, che non avevano altra veste, si drappeggiavano in qualche modo nel sarong. Scimmiotto chiese: "Ma che modo di vestirsi è questo?"
"Signore, non ci picchiate!" rispondevano. "Fateci spiegare: il tessuto ci è stato donato in elemosina, in città; ma qui non ci sono sarti. Li abbiamo confezionati noi come sapevamo; è quello che si dice: drappeggiarsi nella povertà."
Scimmiotto se la rideva fra sé. Li portò davanti al portale e li fece inginocchiare in bell'ordine. Il superiore batteva la fronte al suolo e gridava: "Nobile signore dei Tang, entrate, accomodatevi!"
"Maestro, a quanto pare era davvero colpa vostra" commentò Porcellino. "Guardate che differenza! Voi eravate tornato indietro con gli occhi gonfi di lacrime, facevate la smorfia come se vi avessero appeso un'ampolla d'olio al labbro superiore. Che astuzie avrà usato il condiscepolo, per farli arrivare addirittura alle prosternazioni?"
"Bestione mio" rispose Tripitaka, "di riti non te ne intendi. Dice il proverbio: i cattivi, li teme anche il diavolo."
Le prosternazioni mettevano a disagio Tripitaka, che avanzò per farle cessare.
"Se vostra signoria può mettere una buona parola per noi, perché il vostro discepolo non usi il suo palo, a noi non peserà nemmeno restare inginocchiati per un mese intero."
"Consapevole del Vuoto, sai che non si deve picchiare."
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