"Domattina si allontanerà dalla corte."
"Dove andrà?"
"Uscirà dalla città di buon'ora per andare a caccia, in compagnia di tremila cavalieri e uomini appiedati, con cani e falconi. Bisogna che lo incontriate, maestro. Se gli ripeterete ciò che vi ho raccontato, vi crederà."
"Come mi potrà credere? Non ha che occhi mortali, trascorre la sua vita nel palazzo reale, vede ogni giorno il mostro e lo chiama 'real padre'."
"Vi lascerò un pegno per convincerlo che dite il vero."
Il re porse lo scettro di giada bianca incrostato d'oro che teneva in mano: "Questo sarà il pegno."
"Sarà riconoscibile da lui?"
"Certo. Quando il prete della Verità Completamente Sublimata prese il mio aspetto, gli mancava soltanto questo segno. Ritornato al palazzo, raccontò che il mago della pioggia glielo aveva sottratto ed era fuggito; l'oggetto non fu più ritrovato. Quando mio figlio lo vedrà, ricorderà chi lo portava e accetterà di vendicarmi."
"D'accordo. Dove volete incontrare il mio discepolo?"
"Ora mi devo allontanare. Voglio chiedere alle divinità vigili della notte di sospingermi con un colpo di vento fino al palazzo della regina: le apparirò in sogno e le raccomanderò di intendersi con nostro figlio, per agire d'accordo con voi, maestro, e con il vostro discepolo."
Tripitaka acconsentì: "Così sia; andate."
L'anima in pena si prosternò per congedarsi e Tripitaka si fece avanti per aiutarla a sollevarsi; ma incespicò, barcollò e si risvegliò improvvisamente alla fiamma vacillante della lampada: era stato un sogno. Chiamò febbrilmente: "Discepoli miei, vi prego!"
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