"Sembra che abbia poteri magici molto estesi."
"Può darsi, ma non mi fa paura. Ci metterà poco a rimpiangere di avermi incontrato."
"A proposito, il re mi ha lasciato un pegno per convincere suo figlio."
"Lasciate stare, non perdete la bussola! Non avevate detto che era un sogno?"
Intervenne Sabbioso: "Se non credi sia dritto ciò che è dritto, guàrdati dalla malvagità di ciò che è buono: accendiamo una torcia, apriamo la porta e vediamo!"
Scimmiotto aprì la porta. La luce della luna illuminava i gradini: sul bordo del primo giaceva davvero uno scettro di giada bianca incrostato d'oro. Porcellino si fece avanti per raccoglierlo: "Cos'è questa roba, fratello?"
"Sarà il tesoro che reggeva il re, lo scettro di giada" rispose Scimmiotto. "Maestro, ecco qui l'oggetto; dunque il sogno era veritiero. Mi incarico io della cattura del mostro, ma vi devo chiedere di disporvi a ricevere tre colpi del destino."
"C'era da aspettarselo!" s'indignò Porcellino. "Che bisogno avevate di far sogni e di andarglieli a raccontare? Scimmiotto è sempre stato bravo a mettere la gente nei guai: e adesso vi farà incassare i colpi del destino."
"Di che si tratta?" domandò Tripitaka.
"Dovrete portare la giara, subire la collera e prendervi la peste."
"Una sola di queste cose sarebbe un bel guaio" sghignazzò Porcellino. "Come fare a sopportarle tutte e tre?"
Il monaco chiese: "Spiegami il loro significato."
"Per ora sarebbe inutile" rispose Scimmiotto. "Vi devo consegnare una cosa."
Si strappò un pelo e lo trasformò in un cofanetto laccato di rosso e decorato d'oro, vi mise lo scettro di giada bianca e disse: "Tenete. All'alba indosserete il vostro kasâya di broccato e vi metterete seduto a recitare sutra nella sala principale. Io darò un'occhiata in città. Se si tratta davvero di un mostro, lo ucciderò e acquisteremo un merito in più. Ma se non lo fosse, dovremmo guardarci dal provocare disordini."
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