Or dunque, narra il racconto, Scimmiotto colto da un insopportabile mal di testa supplicava pietosamente: "Maestro, smettetela, tacete! Lasciatemi risuscitare questo disgraziato!"
"Risuscitare come?" domandò il reverendo.
"Non c'è che un modo: scenderò all'inferno, chiederò informazioni per sapere quale giudice segue la sua pratica e lo pregherò di lasciarmi riportare l'anima in questo mondo."
"Maestro, non gli date retta" insisteva Porcellino. "A me ha detto che non occorre scendere all'inferno, che lui è capace di risuscitare la gente senza uscire dal mondo dei vivi." E Tripitaka, succube di ogni suggerimento perverso, si rimise a recitare la formula.
"Basta, basta, lo rimetterò in piedi senza uscire dal mondo dei vivi!"
"Non vi fermate, andate avanti con l'incantesimo!"
"Brutto cretino, bestiaccia maligna!" imprecava Scimmiotto. "Che cosa ci guadagni ad aizzarmi contro il maestro con la sua malasorte?"
Porcellino sghignazzava: "Fratello, fratellino bello, credevi di essere tu solo capace di combinare scherzetti agli altri? Lo vedi che ti so fregare anch'io?"
"Insomma, maestro, non potete dar retta a questo mentecatto. Non mi perseguitate più, lasciatemi fare!"
"E come farai, senza uscire dal mondo dei vivi?"
"Farò una capriola nelle nuvole fino al portale sud del Paradiso, che non è certo nel mondo dei morti. Non perderò tempo al Palazzo del Toro e del Cucchiaio, o nella Sala delle Nuvole Misteriose, ma andrò diritto filato nel trentatreesimo cielo, alla Corte dei Beati del Palazzo Celeste Senza Rimpianto. Cercherò di Laozi e gli chiederò una delle sue specialità, il cinabro richiamo dell'anima nove volte trasmutato; dice il motto: se l'ingoi, torni subito fra noi!"
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