Wu Cheng'en
VIAGGIO IN OCCIDENTE


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     "Va dunque, e torna presto" rispose Tripitaka soddisfatto.
     "Vediamo: è la terza veglia, intorno a mezzanotte; non potrò essere di ritorno prima dell'alba. Intanto non possiamo lasciare questo corpo lì a giacere freddo e solo. Che figura ci faremmo? Bisogna organizzare la veglia."
     "A buon intenditore..." fece subito Porcellino. "Il macaco vuole arruolarmi come prefica."
     "Temevo appunto che ti rifiutassi. Se tu non lo piangi, io non lo posso risuscitare" dichiarò Scimmiotto.
     "Va be', vattene per la tua strada, che io piangerò."
     "C'è modo e modo. Piangere, in sé, non è che sgocciolare acqua dagli occhi. Urlare è solo un esercizio delle corde vocali. Non bastano queste cose per una veglia funebre fatta come si deve: le lacrime devono essere accompagnate da strazianti singhiozzi, e gli urli devono diventare gemiti e lamentazioni che salgono dal cuore."

     "Adesso vi faccio vedere io" replicò Porcellino. Trasse da chissà dove un pezzo di carta, lo arrotolò tra le dita e se lo ficcò su per le narici più volte. Dapprima starnutì sonoramente, poi gli occhi gli si gonfiarono di lacrime, colò moccio dal naso e incominciò a singhiozzare; gemeva, diceva parole sconnesse, proprio come se fosse smarrito per aver perduto qualche vecchia zia. Era tanto commovente che il buon reverendo sentì una stretta al cuore, e incominciò a piangere con lui.
     "Può andare" disse ridendo Scimmiotto. "Se vai avanti così dovrebbe bastare, ma a condizione che non ti fermi. Sai che vedo tutto quello che fai; quando ti avrò voltato la schiena, se ti fermerai anche solo per un istante, dovrai preparare le chiappe, perché ti ci appoggerò venti bastonate."


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