Il grande santo ringraziò l'illustre patriarca e uscì dal Palazzo dei Beati. Al sorgere del sole, ridiscese dal portale di diaspro aureolato di mille nubi di buon augurio verso la polvere del mondo. Quando giunse al Monastero del Bosco Sacro, Porcellino stava ancora piangendo con il massimo impegno.
"Consapevole del Vuoto" esclamò Tripitaka, "eccoti qua! L'hai portato, quel cinabro?"
"L'ho portato."
"Glielo avranno dato, oppure lo avrà rubato" brontolò Porcellino.
"Fratellino, non c'è più bisogno di te" gli disse Scimmiotto ridendo. "Ti puoi asciugare gli occhi, o se preferisci vai a piangere altrove." E a Sabbioso: "Portami un po' d'acqua, per favore."
Sabbioso corse al pozzo che si trovava dietro l'edificio e attinse dalla secchia mezza tazza d'acqua, che portò al Novizio. Scimmiotto estrasse la pillola e la introdusse fra le mascelle irrigidite, dopo averle forzate ad aprirsi; un sorso d'acqua fece scendere il farmaco nelle viscere. Passò qualche tempo, si udirono dei borborigmi, ma il corpo non si muoveva.
"Maestro" chiese inquieto Scimmiotto, "se non ce la faccio, che pena contate di infliggermi?"
"Perché mai non dovresti farcela? Non c'è ragione che non torni a vivere. Se non fosse per la potenza soprannaturale del cinabro d'oro, credi che il cadavere di una persona morta da tanto tempo potrebbe inghiottire acqua ed emettere borborigmi? È segno che la circolazione sanguigna si riattiva, benché il respiro, interrotto da tanto tempo, fatichi a riprendersi. Un pezzo di ferro, dopo tre anni nell'acqua di pozzo, sarebbe coperto di ruggine; figurarsi un corpo umano! In effetti il soffio vitale è esausto; bisognerebbe fargli la respirazione bocca a bocca."
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