Porcellino si fece avanti per provvedere, ma Tripitaka lo fermò: "Non tu! Tocca a Consapevole del Vuoto di prendersene cura."
Il maestro interveniva con saggezza: l'alito di Porcellino era irrimediabilmente impuro, perché fin da piccolo si era macchiato del peccato di distruggere vite e di mangiare carne umana. Invece Scimmiotto, cresciuto a forza di pesche, pinoli e bacche di cipresso, aveva un alito puro.
Pertanto Scimmiotto accostò la sua bocca da duca del tuono alle labbra del re morto e soffiò forte. L'alito passò vigoroso dall'alta torre alla sala chiara, da lì scese alla sorgente zampillante dei talloni e risalì fino al palazzo dai muri d'argilla del cranio. Il sovrano emise un forte rantolo e ritornò in sé, raccolse il fiato, agitò mani e piedi e gettò un grido: "Maestro!"
Balzò su e si inginocchiò nella polvere dicendo: "Ricordo di avervi visitato l'altra notte da fantasma. Non avrei mai pensato di rivedervi stamane da vivo."
Tripitaka si affrettò ad aiutarlo a rialzarsi: "Maestà, non è merito mio; dovete ringraziare il mio discepolo."
"Che dite mai, maestro!" protestò Scimmiotto ridendo. "Dice l'adagio: non c'è casa con due padroni. Gli omaggi spettano a voi."
Tripitaka era un po' imbarazzato. Il sovrano fu da lui preso per mano e guidato nella sala di meditazione, dove accettò di sedersi solo dopo avere rinnovato i saluti a Porcellino, Scimmiotto e Sabbioso.
I monaci, sopraggiunti per predisporre il servizio della colazione, non seppero capacitarsi della grande novità: il re era tra loro, in abiti zuppi d'acqua. Si intrecciarono domande ed espressioni di meraviglia. Scimmiotto si alzò ad arringarli: "Calma, bonzi, non vi allarmate. Quello che vedete è proprio il re di Gallo Nero, vostro vero sovrano. Egli era stato ucciso da un mostro tre anni fa, e io questa notte l'ho riportato in vita. Ora dovremo ricondurlo in città per far luce sul giusto e sul perverso. Se ci avete preparato la colazione, servitela; la mangeremo e poi partiremo."
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