Il re diavolo ordinò di farli entrare, e i monaci si presentarono tutti insieme, seguiti dal re risorto. A quest'ultimo, mentre avanzava, sfuggiva qualche lacrima al pensiero: "Che triste situazione! Chi avrebbe pensato che quest'uomo potesse impadronirsi così delle mie terre, circondate dal bronzo, e degli altari dei miei antenati, protetti dal ferro?"
"Maestà" gli bisbigliò Scimmiotto, "dominate il vostro dolore: non ci dobbiamo scoprire prima del tempo. State sicuro che già sento vibrare d'impazienza il mio randello; e vedrete come lavora! Schiacceremo il diavolo, spazzeremo via i mostri e vi faremo ricuperare il vostro regno."
Il re si asciugò furtivamente gli occhi con un lembo della veste e lo seguì ubbidiente nella sala d'udienza, pronto a tutto.
Sfilarono davanti a quattrocento funzionari civili e militari, che il squadravano dalla testa ai piedi, arcigni e sprezzanti. Scimmiotto per primo si presentò ai piedi dei gradini di giada bianca, dove rimase immobile e ben piantato sulle gambe.
Gli ufficiali ai piedi del trono fremevano di indignazione: "Che bonzo selvaggio! Non si prosterna, non parla, non fa nemmeno un semplice inchino; che sfrontato!" E il re diavolo domandò: "Da dove viene questo bonzo?"
"Siamo inviati imperiali del paese dei grandi Tang nelle terre dell'Est del continente meridionale, il Jambûdvîpa" rispose con sussiego Scimmiotto. "Il nostro incarico è di chiedere le autentiche scritture al Buddha vivente, nel Monastero del Colpo di Tuono del paese delle Indie nei territori dell'Ovest. Passando di qui, siamo venuti a presentare i nostri passaporti, come si usa."
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