Il re diavolo montò in collera: "Qui non siamo vostri tributari e non abbiamo nemmeno relazioni diplomatiche con il vostro paese. Come osate presentarvi a corte senza attenervi al cerimoniale dei saluti?"
"La nostra corte celeste nelle terre dell'Est risale all'antichità più remota" rispose sorridendo Scimmiotto, "e la sua superiorità è sempre stata riconosciuta. La vostra non è che una contrada periferica. Come dice l'adagio: sovrano del paese superiore: padre e re; sovrano del paese inferiore: figlio e suddito. Non potete rimproverare noi di scortesia: semmai avete mancato voi, che ve ne state lassù e non siete nemmeno sceso ad accoglierci."
Il re diavolo, fuori di sé, ordinò ai suoi ufficiali di metter le mani addosso a quei selvaggi; e già i mandarini si slanciavano, quando Scimmiotto gridò: "Fermi dove siete!" e fece un segno con la mano. Sotto il dominio della magia immobilizzante, nessuno poté più muovere un dito. Era il caso di dirlo:
Soldati sui gradini come idoli di legno
E capitani in sala come statue d'argilla.
Vedendo immobilizzati i suoi ufficiali, il re diavolo balzò giù dal trono per impadronirsi dell'intruso. Il re scimmia non aspettava altro. "Vieni, vieni! Anche se la tua zucca fosse di ferro o di bronzo, vedrai che buco ci farà il mio randello!" pensava.
Ma prima che si arrivasse allo scontro, spuntò accanto al re diavolo la stella della sua salvezza, cioè il principe ereditario, che lo trattenne e si inginocchiò dicendo: "Real padre, calmate la vostra ira!"
"Che cosa vuoi, figliolo?"
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