"Vedete che mostro coraggioso" fece notare Scimmiotto. "Sopporta bene il dolore e pensa soltanto a togliersi le spade dal corpo."
La pusa disse a Moksa: "Fermo! Non farlo morire." Poi abbassò di nuovo il ramo di salice e pronunciò la sillaba magica Om: le punte delle spade divennero uncini, impossibili da sconficcare.
Il mostro dilaniato fu preso dal panico e incominciò a supplicare lamentosamente: "Pusa, il vostro discepolo aveva perduto le pupille degli occhi, per non saper riconoscere l'immensa potenza della legge. Vi imploro di lasciarmi la vita: risparmiatemi! Non commetterò più atti di violenza, abbraccerò la legge e osserverò i suoi precetti."
Allora Guanyin scese giù con i suoi discepoli e con il pappagallo bianco: "Accetti di praticare la nostra difesa?"
"Se mi lasciate la vita, accetto tutto" rispose il mostro acconsentendo col capo e piangendo.
"Entrerai nella comunità?" chiese Guanyin.
"Ma sì, come volete, purché mi lasciate vivere."
"In questo caso, ricevi i precetti, mentre io ti terrò la mano sulla testa."
Si cavò dalla manica un rasoio per tonsure, gli si accostò e lo rase al modo del Taishan: testa rasata con tre ciuffi, di cui si potevano fare trecce.
"Che sfigato, il mostricino!" ghignava Scimmiotto. "Non si sa più se è un maschietto o una bambina."
"Ora che ti ho ordinato con le mie mani" disse la pusa, "avrò dei riguardi per te: ti nomino il mio ragazzo Buona Fortuna. Che ne pensi?"
Il mostro accettava tutto e pensava solo alla pelle. Guanyin puntò il dito e gridò ancora: "Ritiratevi!" Questa volta, le magiche spade caddero nella polvere, e lasciarono il corpo del ragazzo libero e intatto.
|