"Giovani amici, prendete la vostra acqua benedetta!"
I preti spinsero l'uscio, vennero a prosternarsi per ringraziare, e finirono per rovesciare nella giara anche il contenuto della pignatta e del vaso da fiori.
"Discepoli, portatemi una ciotola, che la voglio assaggiare."
Un pretino portò una tazza da tè e la tese al superiore; questi attinse alla giara e bevve un sorso, sentendosi anche in dovere di leccarsi le labbra e schioccare la lingua.
"È buona?" chiese Potenza del Cervo.
"Mica tanto" confessò il suo condiscepolo facendo una smorfia. "È un po' aspra, come vino che va in aceto."
"Fammi sentire" propose Potenza dell'Ariete. Ne inghiottì un sorso anche lui: "Sapete che cosa mi ricorda? Il puzzo della piscia di maiale."
Scimmiotto, sul suo trono, pensò che stava diventando difficile reggere il gioco e si disse: "Completiamo lo scherzo in modo che resti bene impresso nella memoria."
Alzò la voce:
"In nome del Tao, in nome della Via, che cosa credevate? Che i tre puri venissero giù dal cielo apposta per voi? Vi dirò io chi siamo: noi siamo monaci dei grandi Tang di passaggio da queste parti, che in questa bella notte di primavera siamo venuti a curiosare nel vostro pollaio, perché non avevamo niente di meglio da fare. Ci eravamo mangiati le vostre offerte e stavamo facendo quattro chiacchiere in allegria. Ma voi continuavate a prosternarvi e volevate a tutti i costi l'acqua benedetta. Dove potevamo attingerla, se non nelle nostre vesciche?"
A questo discorso i preti inferociti corsero a sbarrare la porta, presero forche, scope, tegole, sassi, e si precipitarono in mischia confusa verso l'altare. Scimmiotto prese per mano i compagni, Sabbioso a sinistra e Porcellino a destra, con loro si aprì un passaggio fino alla porta, salì su una nuvola e scomparve in un bagliore luminoso. Un istante dopo erano nella cella del superiore del Monastero delle Profondità della Saggezza e si coricavano zitti zitti per non svegliare il maestro.
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