L'eminente immortale Potenza della Tigre si congedò dal re inchinandosi e giungendo le mani, e scese ai piedi della torre. Ma Scimmiotto si fece avanti e gli sbarrò la strada: "Dove andate, maestro?"
"Salgo all'altare per invocare la pioggia."
"Non si può dire che esageriate con le cortesie; non ci lasciate nemmeno la precedenza, benché siamo ospiti che vengono da lontano. Non importa. Come si dice: drago che vola non schiaccia serpe che striscia. Ma se volete incominciare voi, dovete prima dichiarare il vostro programma."
"Quale programma?"
"Scusate tanto: invocheremo la pioggia noi e voi. Come si farà a sapere se cadrà la vostra pioggia oppure la nostra?"
Il re, che ascoltava dall'alto della torre, approvava dentro di sé: "Il giovane bonzo sa quel che dice."
Sabbioso se la rideva: "E non avete ancora visto il bello!"
"È proprio inutile" replicò l'immortale. "Sua maestà si renderà conto da solo."
"Sarà vero, ma io vengo di lontano e non vi conosco. Se al momento buono ci fosse da ridire, chi ci guadagnerebbe? Prima di mettervi al lavoro, precisate che cosa intendete fare."
"Quando salirò all'altare, basterà guardarmi: quando batterò un colpo sulla mia tavoletta: tac! si alzerà il vento. Al secondo colpo compariranno le nuvole; al terzo tuonerà; al quarto cadrà la pioggia; al quinto ritornerà il bel tempo."
"Mica male!" sogghignò Scimmiotto. "Noialtri non si è mai visto niente di simile. Incominciamo!"
L'eminente immortale avanzò a gran passi fino ai piedi dell'altare, seguito da Tripitaka e dagli altri. Bisognava alzare il capo per guardarlo, perché era collocato su una terrazza alta almeno tre tese, circondata da ventotto stendardi su pali piantati a terra, simboli delle ventotto case. In cima vi era un tavolo, che reggeva un brucia profumi da cui saliva una voluta di fumo d'incenso ed era fiancheggiato da due candelabri le cui fiamme ardevano vivaci nel vento. Al brucia profumi era appoggiata una tavoletta che recava il nome del duca del tuono. A terra erano allineate cinque grandi giare piene d'acqua pura; in ciascuna galleggiava un ramo di salice, e su ogni ramo una placca metallica recava un talismano con il nome di uno dei direttori del Dipartimento celeste Tuoni e Fulmini. Cinque pali piantati intorno recavano cartelli con i nomi degli incaricati del tuono dei cinque orienti; accanto a ogni palo stavano due preti taoisti, pronti a battere i loro martelli di ferro. Sotto la terrazza c'era un gran numero di daoshi intenti a scrivere; in mezzo a loro era collocato un fornello per bruciare la carta e si ammucchiavano molti personaggi in carta o seta: messaggeri, portatori di talismani, geni locali e divinità protettrici.
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