"Ma è chiaro: oggi i draghi non erano in casa" spiegò il daoshi.
"Maestà" intervenne Scimmiotto a voce alta, "i draghi erano in casa, eccome! Ma il metodo del vostro maestro non è adatto per convocarli. Lasciate fare a un monaco del Buddha e sentirete un'altra musica."
"Salite dunque all'altare. Quella pioggia ci serve" rispose il re.
Scimmiotto si precipitò verso l'altare e, passando, agganciò Tripitaka: "Maestro, salite con me."
"Ma io non m'intendo di stregonerie."
"State attenti che vi tengono d'occhio" disse Porcellino, tanto per tenerli allegri. "Se continua a non piovere, finirete sul rogo; e quando vi daranno fuoco avrete il fatto vostro."
"Lo so che non v'intendete di queste cose, ma nel recitare sutra fate pur sempre la vostra figura. Al resto penserò io" promise Scimmiotto.
Il reverendo si lasciò convincere a salire all'altare. Arrivato in cima si sedette in posa solenne e recitò dentro di sé il sutra del Cuore. Mentre era in atteggiamento di meditazione, sopraggiunse un ufficiale al galoppo per chiedere: "Come mai questo bonzo non brucia talismani e non batte tavolette?"
"Perché non serve a niente" rispose Scimmiotto. "Noi preghiamo a modo nostro e, come vedete, senza fare tanto rumore."
L'ufficiale se ne andò a fare rapporto.
Quando Scimmiotto comprese che il suo maestro aveva completato la recitazione, si tolse l'ago da dietro l'orecchia e lo ingrandì. Quando lo puntò verso il cielo la vecchia del vento, con l'aiuto del figlio che slacciava il cordone, diede via libera al contenuto del suo otre. Si sentì fischiare e sibilare: in città, le tegole volavano via dai tetti, i mattoni cadevano, le pietre rotolavano in turbini di polvere. Che vento! Non era una cosa ordinaria: eccolo qua.
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